Parte 1 – Nella notte più buia anche le stelle si spengono
Maya: Mamy perdonami, questa volta l’ho combinata davvero grossa. Non avertene a male, non è colpa mia … Tu sei lì, bloccata in ospedale con i tuoi problemi e io … invece che esserti di sostegno … [sniff!]

Era tanto e tale il desiderio di starti vicino che … pensavo che, magari, in questo modo mi avrebbero portato da te …
Oggi pomeriggio stavo saltellando felice dopo che la zia Erica era venuta a portarmi la porzione di verdurine giornaliere, quando … ahi ahi … il pancino comincia a fare le bizze. Sento come dei piccoli morsi da dentro e mi sento tutta rigida. Decido di accucciarmi nel mio cestino come faccio sempre quando mi capita, magari passa.
E invece non passa e con il tempo i piccoli crampi si fanno più mordaci e aggressivi e la zia Erica, nell’arrivare per l’ultima visita della sera, prima di ritirarsi in casa con la sua famiglia, invece che trovarsi a fronteggiare il mio entusiasmo e la consueta giocosità, mi trova tutta appallottolata, inerte e apatica. Non voglio mangiare, volto il musetto da un lato davanti alla proposta delle foglioline più appetitose e delle carotine profumate che di solito agguanto con voracità e non ho voglia né di carezze, né di giochi. Il micidiale e temutissimo blocco intestinale sta facendo il suo corso!
[Dovete sapere che noi coniglietti abbiamo un subdolo nemico, il blocco intestinale, il nostro principale punto debole, capace di risultarci fatale nel giro di pochissime ore se non si interviene con tempestività. Compare non annunciato, senza preavviso a causa di un forte stress o, come spesso nel mio caso, a seguito dell’ingestione di pelo che si accumula nell’intestino e ci impedisce di scaricare adeguatamente andando rapidamente a compromettere la funzionalità di tutti gli organi vitali].
Mamy: Il bip bip che notifica l’arrivo di un messaggio su whatsapp mi sorprende nel bel mezzo di un pisolino. E’ Erica che mi manda uno dei suoi video giornalieri con cui immortala le piccole grandi imprese della mia piccola pelosa per rallegrare le lunghe ore di ospedale e farmela sentire più vicina. Sorrido. Chissà che ha combinato questa volta? E invece, tuffo al cuore!
Maya se ne sta tutta rigida e compressa, orecchie strette alla testolina incassata in una pallottola di pelo e sguardo vitreo. Capisco subito di cosa si tratta, ormai ho l’occhio clinico. Cerco di non farmi sentire troppo agitata per non mandare nel panico Erica, già provata dall’inconsueta visione di una Maya statica e indifferente al cibo. Non credo proprio di riuscirci e, anzi, temo di aver fatto salire la pressione anche sulla mia povera amica che non sa che pesci pigliare. La situazione è di quelle che avevo voluto scacciare anche dalle più fosche previsioni: che Maya andasse in blocco (è così che si dice in questi casi) proprio in questi giorni in cui sono assente e impossibilitata a intervenire personalmente.
Devo dire che la nostra piccola amica è una campionessa nell’avere problemi proprio nelle circostanze meno favorevoli ovvero di sabato o domenica, oppure dopo l’orario di chiusura della clinica, quando cioè intervenire è più costoso e complicato perché richiede il ricorso al numero di emergenza, ma questa volta ha superato se stessa: io sono in un letto di ospedale, attaccata ai fili della flebo, sotto terapia di cortisone, quindi con i sensi appannati e le forze compromesse, è ormai notte, lei è sola in camper affidata alle cure di Erica, rabbit sitter super ma carente dei superpoteri necessari per poter fronteggiare una situazione così complessa e fuori dalla portata della sua luminosa ma pur sempre breve esperienza con un coniglio.
Faccio ricorso a tutta la mia limitata lucidità, devo assolutamente trovare qualcuno che la vada a prelevare e la porti in clinica nel più breve tempo possibile, pena il perderla per sempre. In questi casi, purtroppo, la sentenza è implacabile: non arriverà al mattino.
[Un altro problema che attanaglia i “lapini” è che in caso di problemi di salute, un qualunque veterinario non è adatto al prendersene carico in quanto il coniglio domestico è, per le sue caratteristiche fisiche e fisiologiche, classificato nella categoria “animali esotici”. Quindi l’approccio medico è molto diverso da quello richiesto da cani e gatti e richiede il ricorso a un veterinario particolare e molto poco presente sul territorio. Risultato: unico presidio adatto ad accogliere con successo la nostra piccola Maya che sia attivo tra le province di Mantova e Verona ha sede a Castel d’Azzano, a ben 30 km circa da dove ci troviamo noi.]
Avendo previsto che sarebbe potuto succedere, avevo allertato una mia cara amica, Lisa, esperta nella cura di gatti randagi, preferibilmente malmessi e bisognosi delle più complesse e arzigogolate cure veterinarie, pregandola di tenersi pronta, in caso di bisogno.
La chiamo, una … due … tre … dieci volte … niente da fare! Il cellulare squilla a vuoto per qualche minuto, poi parte la segreteria. La doppia spunta dei messaggi whatsapp si ostina a rimanere grigia.
Niente da fare. Sapevo che Lisa quella sera aveva un impegno, ma era nelle vicinanze, speravo fosse raggiungibile in qualche modo, ma invece continua a non rispondere. Continuo ostinatamente a riprovare quasi sperando che la segreteria si scocci di venire molestata con tanta insistenza e si decida a mettermici in contatto. Ma nemmeno lei ha pietà di quella che si è trasformata da una semplice preoccupazione a panico puro.
Erica continua via messaggio a scusarsi per non poter agire personalmente ma il figlio è uscito, il marito sta poco bene e lei non se la sente di avventurarsi in auto da sola, di notte, per strade sconosciute e che la porterebbero ad attraversare tetre e isolate strade di campagna.
Mi scuso io con lei per averla messa in quella sgradevole posizione, così alla preoccupazione e al panico si aggiunge anche il senso di colpa. Un mix micidiale per una povera ricoverata che dovrebbe starsene tranquilla a letto. Ma adesso ho altre priorità. Il mio stato può aspettare, ora devo pensare a Maya.
Comincio un drammatico quanto frenetico valzer di chiamate partendo dal cerchio più ristretto delle mie conoscenze e andando ad allargarmi sempre più, fino a coinvolgere amici degli amici, vicini dei vicini, conoscenti dei conoscenti. Ma sembra proprio che stasera le stelle ci abbiano voltato le spalle, al punto che anche guardando oltre l’ampio finestrone della camera da letto, la notte sembra essersi fatta più buia e di stelle non se ne vede proprio nessuna. Per un motivo o per l’altro anche i più volenterosi, pur dichiarandosi estremamente dispiaciuti, non sono in grado di venirci in aiuto e intanto il tempo passa e io so che il tempo è il nostro principale nemico. Più ne passa, minori sono le possibilità che Maya superi la crisi.
Chiamo anche la clinica. Ricordavo che un tempo, proprio a Castel d’Azzano, e proprio grazie all’opera di un’associazione di recupero animali selvatici feriti, era stato istituito un servizio di ambulanza. Magari, pagando, era possibile far effettuare il ritiro anche di animali domestici. Ma l’ambulanza non c’è più già da un po’, la Provincia ha ritirato i finanziamenti ritenendo il progetto “poco interessante e scarsamente utile per la comunità” e preferendo devolvere il gruzzolo ad altra opera – o tasca – ritenuta più meritoria. La clinica, da parte sua, non fa servizio a domicilio, tanto più fuori territorio.
Non so che fare, sono disperata. Sembra che non ci sia altra strada: devo andare io. Devo trovare il modo di uscire in qualche modo dall’ospedale e andare di persona a prendere Maya fino al campeggio per portarla alla clinica. E devo fare presto.
Suono il campanello e dalla stanza delle infermiere arriva pronta una delle operatrici in servizio notturno. Le spiego convulsamente la situazione. “Ti prego devo uscire da qui, a qualunque costo” le dico con la voce che già fatica ad uscire dalla mia bocca compromessa dalla malattia che mi ha colpito e che ancor più ne esce spezzata dalle onde dell’agitazione.
La ragazza mi guarda con i suoi occhi grandi da cerbiatta come se fossi una matta e le stessi dicendo una cosa al di fuori di qualunque buon senso (probabilmente a ragione).
“Marzia non si può, come faccio a farti uscire?” mi dice come stesse piuttosto meditando come fare per trasferirmi immediatamente nel settore neuro, pazienti agitati e potenzialmente aggressivi. “Non c’è nemmeno il medico notturno, chi ti firma le dimissioni?”.
“Ti prego, ti prego deve esserci un modo. Io devo andare assolutamente”. Continuo io sempre più disperata.
L’infermiera mi fa attendere e chiama il primario a casa che, più paziente dei suoi ricoverati, mi spiega che per uscire posso farlo, non sono mica sotto sequestro, ma devo farlo sotto la mia responsabilità – e questo sarebbe nulla per me in questo momento – ma poi non posso rientrare, sono costretta a interrompere la terapia e dovrò rivolgermi ad altra struttura per rifare richiesta di ricovero e ricominciare daccapo tutto l’iter attraversato fino a questo momento per poter nuovamente essere ricoverata e riprendere delle cure che, a quel punto, ne risulterebbero inevitabilmente e forse irrimediabilmente compromesse per un quadro clinico già piuttosto complesso e non proprio benevolo.
Mi arrendo. Lascio che l’infermiera torni alla sua guardiola, rassicurandola che mi tranquillizzerò, e mi metto a misurare il pavimento della camera come fossi un leone in gabbia. Non mi sono affatto arresa. Deve esserci un modo, deve esserci.
Mi tornano alla mente vecchi film in cui il paziente simula di dormire nel letto che ha, invece, imbottito di cuscini e scivola via lungo i corridoi dell’istituto per allontanarsi nella notte.
Potrei fare così. Stanotte non ho nessuna vicina che dorma nella stessa mia camera. Nessuno mi vedrebbe uscire, vado e torno e se incrocio qualcuno al mio rientro posso dire che sono andata alle macchinette della hall spinta dai morsi della fame (possibilità più che plausibile, viste le scarse porzioni di cibo che vengono servite la sera, forse per mantenere i pazienti più leggeri e favorirne il sonno). E’ una follia, lo so. Ma l’alternativa? Lasciare la mia piccola morire tra i morsi dell’intestino e ritrovarmi il camper vuoto al mio ritorno dall’ospedale, una volta finalmente guarita? No, non è un’alternativa percorribile per me. Meglio farsi arrestare per abbandono del letto ospedaliero, se tale crimine esiste.
(fine prima parte)
continua






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