Valentina Vangelisti – Agli albori della storia del motore a scoppio, l’automobile fu appannaggio soltanto maschile, di proprietà di ricchi signori che, quasi sempr,e la facevano guidare da un altro uomo, lo chaffeur. Stiamo parlando dei primi del ‘900 e la guida dell’automobile era una cosa che richiedeva forza fisica, e buona conoscenza meccanica: due caratteristiche che erano poco adatte ad una gentildonna. Si rendeva inoltre necessario un abbigliamento adatto a contrastare la polvere e le intemperie: cappelli di tela cerata, occhialoni, sciarpe indumenti che non contribuivano certamente a rendere femminili le signore.

Nel 1902 le italiane che possedevano una auto erano soltanto due nobildonne e non guidavano personalmente; nel 1905 esce la Rivista “L’automobile” e sulla copertina vi era disegnata una donna al volante; nel 1907 viene rilasciata la prima patente femminile a Ernestina Prola. Nel 1909 uscì il primo manuale automobilistico per sole donne: “La donna in automobile” e vi era riportato, fra l’altro, il consiglio di portare con sé  una piccola rivoltella…

Fra la prima e la seconda guerra mondiale la donna cominciò veramente a scoprire l’auto come strumento di libertà e come mezzo per guadagnare quell’indipendenza tanto auspicata nel lavoro, nello svago e nella vita privata.

“L’automobile deve diventare la compagna quotidiana e l’amica sicura delle donne italiane” – così scrisse una delle più appassionate guidatrici degli anni ’30, Stefania Turr; ciò per arrivare prima a destinazione, per sbrigare velocemente i propri affari e poi anche per andarsene in giro con la famiglia e con le amiche. Ci furono donne che non solo si misero al volante, ma parteciparono a competizioni suscitando stupore da parte degli uomini per il loro coraggio ed intraprendenza ed invece acide critiche da quella parte di donne che vi vedevano un degrado dei costumi. Queste infatti le accusavano di comportarsi da donne “leggere”, minando l’unità della famiglia ed andando contro il galateo il quale prevedeva che un’esponente del gentil sesso cavalcasse leggiadramente o pedalasse su silenziose biciclette, ma non che manovrasse una macchina sbuffante e rombante.

Ma la vera svolta nel rapporto auto-donna si ebbe con il boom economico degli anni ’50. La motorizzazione di massa, introdotta con la produzione delle utilitarie per tutti, come la FIAT 500 e la FIAT 600 portò l’auto in moltissime famiglie e consentì a tante donne di possedere e soprattutto guidare una auto. Questo favorì una emancipazione della donna che negli anni futuri con la diffusione del lavoro femminile ed il criterio della pari opportunità, sarebbe diventata più marcata. Si può  quindi dire che l’auto ha avuto la sua parte nelle lunghe battaglie femminili per la conquista dei propri diritti. Con buona pace  di quegli uomini che per decenni si sono arrogati il rapporto di privilegio con l’auto, relegando la donna che guida al ruolo di slogan “Donna al volante, pericolo costante”.

info: http://www.authos.it.


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