

Luciano Pighi – Ci furono dei perché nella mia infanzia che rimasero a lungo senza risposta. Era il dopoguerra e d’inverno si cucinava sulla stufa a legna o a carbone. D’estate diventava un problema. A casa mia e nel vicinato, la cosa si risolveva rivolgendosi al “marangòn” (falegname) che aveva il laboratorio nel mio cortile e ci forniva gratuitamente la segatura sufficiente a riempire un “bandòto” (grande contenitore di latta). In origine conteneva la “conserva ” e ci veniva regalato dal “pistòr” (fornaio). Su di esso si faceva bollire la pasta. Spettava a me il compito di andarlo a riempire, e sempre mi veniva detto : “schìsela ben” (pressala bene) . Spesso però il fuoco si esauriva drammaticamente prima che la pasta fosse cotta e per me erano guai! Capitava che di segatura non ce ne fosse, e le cose ahimè si complicavano.
L’unica per la quale stranamente non mancava mai era la Ninèta . Era una donna con un seno prosperoso e generosamente esibito. Le nostre vicine notavano maliziosamente che quando entrava lei si sentiva la chiave girare nella serratura. Spesso usciva con qualche truciolo tra i capelli e allora sguardi allusivi e risatine abbondavano. Forse fu questa la ragione per la quale mia madre quando un giorno andai per la segatura mi disse: “dighe al marangòn che iè par la Ninèta” (dì al falegname che è per la Ninèta).
Cercando di assolvere al meglio il mio compito, al cospetto del marangòn dissi testualmente: “la ma dito me mama che vegna a tor le segadùre… e la ma dito anca de dirghe che iè par la Ninèta… (Mi ha detto mia mamma di venire a prendere la segatura e mi ha detto anche di dirle che è per la Ninèta…). Vidi la faccia del marangòn rabbuiarsi paurosamente. Seguirono parole che ora non ricordo ma che, riferite a mia madre, la fecero sbiancare e prendersi il volto tra le mani. Ricordo quello che esclamò: Ma cosa ho fato par meritarme un fiòl così deficiente! Il giorno dopo la Ninèta era davanti alla porta di casa mia, si batteva la mano sull’abbondante petto mentre sentenziava urlando paonazza: – Mi son na dona onesta! –
E mia madre che mi bisbigliava tra i denti: deficiente!
Luciano “Il Parrucchiere”





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