


Valentina Vangelisti – Lucca – A Lucca pochi giorni fa una rotatoria che immette al centro storico della città è stata intitolata alle “Sigaraie, Filandine e Lavoratrici Lucchesi”. Io vorrei parlare della prima categoria di queste lavoratrici che nel tempo, a migliaia, sono passate a pochi metri da questo sito, entrando quotidianamente alla “Manifattura Tabacchi” al suono della sirena (Detta “la Baccalona”) a trascorrere ore e ore chine sui banchi di lavoro per realizzare i sigari (i famosi “Toscani” fatti a mano). Anche mia mamma Gina Pieri Vangelisti è stata una di loro. Alle donne veniva assegnato questo compito perché le loro mani più piccole ed agili di quelle maschili ben si adattavano a tali opere. Dai primi dell’Ottocento questo lavoro divenne per le donne lucchesi motivo di emancipazione, creando all’interno delle loro famiglie una specie di rivoluzione dei ruoli in quanto, in un periodo storico in cui la maggior parte della popolazione era disoccupata, erano le uniche a portare lo stipendio a casa. Per decenni le Sigaraie entravano in fabbrica recandovisi a piedi, le più fortunate con la bicicletta; con tanto sacrificio, con tanto coraggio cominciarono a considerare la Manifattura come una seconda casa, e a socializzare e fraternizzare fra loro, col pensiero sempre alla famiglia e ai figli. Condivisero gioie e dolori con le altre e attraverso il loro lavoro acquisirono la consapevolezza di essere una categoria indispensabile per tirare avanti la famiglia (a Lucca si diceva che avere una Sigaraia in casa era un “affare”).
Gli aspetti positivi del lavoro in Manifattura Tabacchi, già dai primi del Novecento, erano le sette ore di lavoro con un’ora di riposo, contro le dodici ore dell’industria privata e uno stipendio maggiorato almeno del trenta per cento. Già nel 1915 venne istituita nell’ambito della Manifattura una sala per l’allattamento dei bambini delle Sigaraie, provvedimento per l’epoca davvero futuristico. L’altra faccia della medaglia era che il contatto con il tabacco, dovendo essere umido e così poter fermentare, esalava nicotina e causava malattie alle vie respiratorie.
Ho chiesto a mia mamma: “Come si realizzavano i Toscani?” E lei: “Si iniziava con la “scostolatura”, che vuol dire privare la foglia del tabacco dalla nervatura centrale, da usare come parte esterna del sigaro; poi si stendeva la foglia sulla tavoletta di legno e col coltello si dava la forma alla fascia del sigaro. Facendo molta attenzione si prendeva la quantità corretta del ripieno che si immetteva sulla foglia, poi la si arrotolava dando la forma giusta al sigaro. Un’operazione molto delicata da farsi con molta precisione; il sigaro veniva poi spuntato alle estremità e si allineava su una scatolina che aveva una misura di controllo. Se la misura risultava sbagliata, era tutto da rifare.”
L’essere dipendenti dello Stato per questa donne si traduceva anche in una rigida disciplina e severi controlli attraverso gerarchici sistemi di sorveglianza; vi erano infatti “punizioni” per esempio: “presenza di scarti nel sigaro”, per “difetti nel confezionamento”, per “cattivo lavoro”. Ho saputo da alcune amiche di mia mamma che lei spesso aiutava altre colleghe meno esperte affinché il loro lavoro non risultasse difettoso. Quella della Manifattura Tabacchi è soprattutto una storia di donne che, attraverso il proprio lavoro, la loro determinatezza e la loro instancabilità, hanno ottenuto la propria indipendenza meritando veramente il riconoscimento della loro città.
Valentina Vangelisti





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