Luciano Pighi – Sono Luciano, il parrucchiere delle signore di Verona e vorrei raccontare del mio primo settennio. Erano gli anni in cui i bambini, quelli fortunati, avevano i cappotti con  la martingala con due bottoni. I colori non si discostavano dal blu, marrone, nero , o grigio.

A scuola andavo indossando qualcosa di rimediato che fungeva da cappotto, ma che cappotto non era. Per me  questa era la normalità e nemmeno con la fantasia arrivavo ad immaginare di possederne uno. Per le mie sorelle, di 10 – 11 anni maggiori, la situazione era diversa. Le vedevo o le percepivo eleganti, pulite e, qualche volta, perfino profumate. Quando dovevano uscire con il fidanzato facevano una grande attenzione nell’indossare le “calse fine” perché magari era l’unico paio che possedevano, dato che nel quotidiano  indossavano i  “sgalfaròti” con i “sòcoli “.

Le osservavo mentre  con la massima cautela, partivano dalla sommità di una calza alla volta,  usavano i pollici e gli indici per raccoglierle nel palmo delle mani finché arrivavano alla punta del piede. Mi sorprendeva vedere l’inconsueta eleganza con cui li stendevano per infilarli nelle calze senza danneggiarle. Non era scontato che tutto andasse a buon fine. Non di rado le sentivo urlare   “me sa tirà na brèna!” (si è prodotta una smaglitura ). Allora prese dal panico rovistavano freneticamente in qualche cassetto sperando che un miracolo ne facesse comparire un paio “sensa brène” . Quando invece andava bene, l’operazione finiva dopo che alzandosi pudicamente la “còtola”  le allacciavano a quegli oggetti misteriosi che per me  erano  le giarrettiere. Indossavano le scarpe con il tacchetto e controllavano che la cucitura posteriore fosse rigorosamente diritta. Lo facevano alzando un piede alla volta verso il sedere e girando lo sguardo dietro le spalle. Impettite e compiaciute uscivano andando dal moroso che le aspettava fuori dal portone. Uno di loro (il più figo ) aveva la Lambretta e mentre aspettava con il motore acceso, accelerava continuamente per manifestare la sua impazienza …

Scusatemi,  mi sono dilungato troppo e del cappotto, racconterò un’altra volta!


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