
Luciano Pighi – Alla mia disagiata infanzia si aggiunse un’ulteriore sventura: una delle mie sorelle venne assunta come apprendista in una sartoria. Da quel momento il povero lessico famigliare si arricchì di vocaboli per me incomprensibili: pens (pence), godè (godet), maneghe ala reglàn (maniche alla raglan), redingòt … e via discorrendo. Mia sorella le pronunciava con tale sussiego da indurre in poco tempo i miei a considerarla “sarta”.
Quale occasione migliore per riciclare abiti smessi perché logori? Dovetti così subire commenti a dir poco sgradevoli da chi mi vedeva conciato in modo anche ridicolo con abiti riadattati in qualche maniera. Ricordo quanto soffrivo nel sentirmi dire: el ga le bràghe con la petàra (ha i pantaloni con la patta)!
Il peggio arrivò quando, grandicello, necessitai di un cappotto per andare a scuola. Quello di mia sorella a redingòt era ormai consunto e poiché era duplefax (doubleface), grigio la parte esterna ed a scacchi rossi e grigi quella interna, pensarono di riadattarlo per me rivoltandolo. Non potrò mai dimenticare il giorno in cui i miei compagni di scuola mi videro apparire con un grande e lungo cappotto a redingòt a scacchi rossi e grigi.






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