Liviana Cunego

A MIA MADRE

Indugiava sospeso/dietro te.
Trattenuto, quasi l’aria lo volesse suo, il fruscio della tua ampia gonna/ quando dal gradino ti alzavi.
Lasciandomi seduta ad ascoltare quell’incanto viverlo, gustarlo…/
fissarlo dentro me/con forza tale,/da ritrovarlo adesso ancora intatto,/
riemerso dagli abissi del passato con tutto il sapore di quell’antica primavera !
Con tutto il calore di quei meriggi attorno al fuoco del camino, vivido, guizzante cuscino sopra il quale, pigramente sospeso, appagato sonnecchiava l’audace capocuoco gran maestro della casa.
Sbirciandoci, sornione, con qualche lusinghiero sbuffo di vapore sbadigliato verso noi due sedute, dando le spalle al fuoco, un pò in disparte sul tiepido gradino. Come dentro ad uno scrigno: fra il resinoso riverberio delle scoppiettanti braci e il vivido intrecciarsi delle nostre ombre danzanti.

Assorta, quasi solenne tu ricucivi qualche panno, qualche calzino. Lo sguardo fermo, intenso dietro le scure ciglia; un filo uno spillo sapientemente trattenuti fra lucenti perle e purpurei velluti. Un’isolita ruga affacciata alla fronte tra lucidi mulinelli neri, indomiti al pettine!
Con le mani abbandonate in grembo, dimentica del prezioso cofanetto di variegate pezze e addormentate principesse, contemplavo incantata il rapido volteggiar della tua fresca mano sfrecciante rondine divertita a dipanare dall’oro del ditale, stupefacenti strali, accesi come le tue guance dal bagliore del fuoco.
Finito di cucire, ridendo soddisfatta, davanti agli occhi il lavoro esaminavi e… io, come latte ti bevevo mio io, mia Terra Santa! Tutta d’un fiato fino all’ultimo goccio!
Prima che di lì ti alzassi flessuosa, snella, con grazia di gazzella. Sublimando l’aria con quell’ineguagliabile fruscio di carezza, col sapore della seta… Nettare così immenso. Rimasto solo mio.


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