Gabriella Poli – Ricordo il fruscio degli alberi del bosco nella notte, quando una leggera brezza ne scompigliava le chiome. Quel respiro era accompagnato solo dai richiami degli animali notturni che, a primavera, cercano l’amore. Il mattino presto in quella collina dell’Urbinate si sentiva il profumo del pane fresco fatto in casa e il fruscio delle vesti degli altri ospiti che sceglievano il cibo dal buffet nella sala grande della villa. Attrici di teatro, musiciste, scrittrici. Tutte rigorosamente inglesi, perché il marito della giovane toscana che ci ospitava alla “Collina che respira” era londinese doc e aveva inoltrato l’invito di soggiorno ai suoi connazionali.



Un soggiorno scandito da rituali di benessere fatto di silenzi, nella natura immensa.
Qualche rito si teneva sotto la tenda indiana dove, disposte a semicerchio si provava a danzare e a vocalizzare l’esperienza. Una traduzione gestuale dei pensieri liberatori che affioravano mano a mano che il soggiorno silenzioso procedeva, un luogo e un tempo nei quali nessuno rivolgeva parole ma solo sorrisi. Le parole non servono quando i silenzi sono così ricchi di emozioni.
Non si badava all’abbigliamento, né all’acconciatura, tutte si sentivano a proprio agio indossando ciò che sembrava più comodo e che diventava bello. Tutte eravamo davvero belle e rilassate.
Poi all’improvviso un evento disastroso interruppe quella atmosfera benefica. Un mattino arrivarono due sorelle veneziane che cominciarono a cianciare di qualsiasi cosa, che volevano fare amicizia, che non smettevano mai di parlare dei fatti loro e di quanto era utile la danza del ventre nella ricerca della forma fisica. Cascammo nella trappola delle parole, del rumore, delle ciance. L’atmosfera si guastò e la Collina smise di respirare nascondendo i suoi tesori.





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