

Gabriella Poli – A Brescia si chiamavano Casoncelli e si servivano asciutti, a Cremona Marubini e solitamente si mangiavano in brodo. Erano la pasta della domenica della mia infanzia dai nonni bresciani, di mamma Giuliana, e cremonesi, di papà Renato. Di quei casoncelli e marubini, mi sono rimaste in eredità le zuppiere, terrine, insalatiere che allora chiamavamo “basie”. Dunque la basia più grande era la più usata perché per condire la pasta ripiena era l’ideale.
Anche se oggi, più sbrigativamente, i tortellini industriali o artigianali li condiamo nella padella dove abbiamo fatto sciogliere burro, salvia e aglio, un tempo non era così.
Le nonne Orsola, a Brescia, e Adele, a Corte de’ Frati (bassa cremonese), iniziavano il mattino preso con la pasta da tirare col mattarello, poi il ripieno con varianti. A Brescia si usava il brasato avanzato, a Cremona gli avanzi di lesso misto e mortadella.
I casoncelli erano triangolari, i marubini invece quadrati e nonna Adele li cuoceva e serviva nel brodo grasso di gallina nostrana con una manciata di grana sopra. Per nonna Orsola, chiamata amorevolmente Luci da nonno Italo, condire i casoncelli, una volta cotti anch’essi nel brodo di gallina, era un’arte. E la basia una parte fondamentale della cerimonia.
Intanto in un pentolino si faceva sciogliere burro abbondante, quello giallo nostrano che un tempo in città si comprava dal lattaio. Si aggiungevano foglie di salvia fresche e uno spicchio di aglio. Ecco la cerimonia aveva inizio. Nella basia come fondo si metteva il condimento, poi uno strato di casoncelli, un’ altra cucchiaiata abbondante di burro e salvia e una manciata di grana. E si proseguiva così fino a riempimento della basia. Alla fine i casoncelli nuotavano nel burro e nel grana. La parola colesterolo non esisteva ancora. E il risultato finale era una squisitezza assoluta.






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