Gabriella Poli – Verona – Il vino non è solo il settore produttivo tra i più importanti del nostro paese ma anche talvolta un’ispirazione per l’arte. Ancora pochi giorni (fino a fine aprile) per visitare, alla Minotauro Fine Art Gallery al n. 29 di Corso Sant’Anastasia, la mostra “Di-Vin M’Horò” l’artista anonimo che ricicla scarti industriali rendendoli “spumeggianti, corposi, armoniosi, proprio come un buon vino”.
E continua il mistero sull’identità dell’artista contemporaneo che ha deciso di restare anonimo, (comunque portato al successo da Antonio e Salvatore Falbo) la cui produzione è curata dalla Minotauro Fine Art Gallery di Palazzolo sull’Oglio (Bs) diretta da Diego Giudici. L’artista sta riscuotendo successo internazionale, apprezzato dal mercato e dalla critica, in particolare modo da Vittorio Sgarbi che ne segue da vicino l’evoluzione stilistica e che firma il catalogo dedicato con parole di forte elogio.
In mostra, che resterà aperta fino a fine aprile, ad ingresso gratuito, visitabile nei pomeriggi di giovedì, venerdì, sabato e domenica dalle 15.30 alle 20.00, si potrà ammirare il percorso di M’Horò, davvero originalissimo, per l’utilizzo di scarti, ingranaggi industriali e materiali di rottamazione che diventano sculture torte, perforate, stampigliate in fini e sorprendenti cesellature.
“L’opera di M’horó – scrive nel catalogo Vittorio Sgarbi – assume il carattere quasi di un’archeologia industriale, prendendo di mira elementi radiali e serpentine destinati, probabilmente, a uscire presto dalla produzione, superati da altri tecnologicamente più evoluti, che vengono sottoposti a un’operazione prevalente, la deformazione per via di torsione, allungamento o perforazione (…). E se cinquanta anni fa, in ambito artistico, il riciclo del rifiuto poteva essere considerato poco più di una provocazione vogliosa di choc, oggi si connota, inevitabilmente, secondo una chiave diversa, maturata nel frattempo all’ombra dell’istanza ecologista, facendo della creazione artistica non solo un atto di natura estetica, ma anche morale. Il bello, insomma, che aspira di nuovo al buono, il piacere degli occhi, del tatto, della mente, che si mette al servizio anche di ciò che è socialmente utile”.
“Il rifiuto industriale – scrive sempre nel catalogo il giornalista Roberto Messina – sottratto alla sua inevitabile ossidazione, decomposizione e mummificazione, viene reso da M’horò linfatico, vivificato. E spumeggiante, corposo, armonioso, proprio come un buon vino… Un vino-scultura che acquista dignità di prestigiosissima ‘riserva’ e che si (ci) consegna ad una seconda e terza vita, con simboli, metafore, misure e dis-misure di una vera cosmogonia ideata sul sottofondo di una ‘nuova sinfonia del mondo antico’: quello nobile, benefico e potentemente seduttivo dell’enologia”.
“Nel suo ricco repertorio di innovazioni iconografiche radicali – spiega Salvatore Falbo – è comunque e sempre celata l’elegante nostalgia di un passato idealizzato, dove il significato allegorico si fonde con astratte visioni naturalistiche. Si assiste ad un insieme di straordinaria grandiosità e immediata riconoscibilità nel conferire vita alle sue creazioni. In altre parole, gli oggetti di recupero, con cui l’artista manipola le proprie sculture, sono veri monumenti con spunti e contrappunti minimalisti e di design”.
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Ottimo Articolo Gabriella!👍
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