Sanremo – Mare agitato e cielo indifferente. Giù al porto vecchio c’è una panchina libera. Riparata dal vento. E soprattutto, oggi, la barca del pescatore frigge il pesce e lo vende. Ne prendo un cono col prosecco e arrivo alla panchina. Le sardine profumano invitanti.
Poi risalgo sulla via del chiosco e prendo un caffè marocchino. E mi siedo lì vicino. Arriva il vecchio indiano, quello che vende i braccialetti sulla spiaggia, poi il tunisino con le borse taroccate, poi un disperato con un mazzo di fiori vecchi in mano di quelli che hanno appena buttato nel cestino di qualche hotel.
Il mio caffè si raffredda perché, tra una richiesta e l’altra, non sono ancora riuscita a berlo. Sono un po’ stizzita quando arriva lui con collane e rose in mano. Bevo il caffè e senza alzare gli occhi dico “non compro niente ciao” . Non se ne va. Lo guardo. È bellissimo, pelle lucente e occhi di luna, giovane, nero e disperato. E mi sfida.
“Sono solo, mi dice, lontano dalla mia famiglia, che si è indebitata per farmi venire qui, credendo di aprirmi a una vita migliore. Invece mi sono trovato a dover rispondere, mio malgrado, a delinquenti che sfruttano me e i miei compagni e ci obbligano a chiedere oboli e carità con la minaccia di farci del male o, peggio, di uccidere le nostre famiglie. Perché mi tratti così? Non conosci la nostra realtà? “.
Lo guardo meglio. 20 anni circa, potrei essere la sua nonna. ” Scusa. – gli dico – mi vergogno di vivere in un paese come questo che, anziché aiutare chi se lo merita, fa affari con la delinquenza organizzata, foraggia gli scafisti e i venditori di morte in cambio di tangenti che finanziano false organizzazioni umanitarie, fa eleggere personaggi inqualificabili ai piani alti dello Stato e della finanza. E ha creato nuovi schiavi come te”.
“Grazie – risponde – mi offre una rosa e se ne va. Piango in silenzio come piangono i vecchi mentre si allontana con i suoi occhi tristi come la luna.
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