Editoriale

Il grido delle donne iraniane risveglia nel loro Paese nuove speranze di libertà. Ne parliamo con N.K., artista e poeta iraniano rifugiato politico in Italia dall’avvento dei dittatori islamici del 1979

Gabriella Poli – Oggi, 1 ottobre, si protesta in tutto il mondo per la libertà dell’Iran dalla dittatura islamica fondamentalista, che tiene in scacco il Paese dal 1979, quando lo Scià fu deposto e andò al potere il leader carismatico e fanatico sciita Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī, populista, capace di ingannare  le masse, che istituì una delle più crudeli repubbliche islamiche del mondo.

Al grido di “the time has come” (il tempo è arrivato) “donna, vita, libertà” e “morte al dittatore” (dove il dittatore è Ali Khamenei, la guida suprema, la figura politica e religiosa più importante dell’Iran), si chiede la fine della Repubblica Islamica nel paese (in Italia molti appuntamenti tra i quali Roma, Milano, Pisa, Padova e Venezia).

A dare il via alle proteste l’uccisione da parte della polizia morale di una giovane donna, curdo-iraniana, Mahsa Amini, perché non indossava correttamente il velo islamico (hijab).

La prima manifestazione era iniziata proprio durante il funerale della giovane, nella sua città natale nel Rojilat, il Kurdistan iraniano. Da lì le proteste si sono diffuse in tutto l’Iran, ferocemente contrastate dal regime, che ha provocato centinaia di vittime e arresti e che, negli ultimi giorni, ha bloccato internet in modo da non far uscire dal Paese alcuna informazione non ufficiale.

A questo punto molti esperti e analisti hanno cominciato a chiedersi se queste manifestazioni siano davvero una minaccia per il regime. Probabilmente non lo saranno nell’immediato, ma è evidente che il regime teocratico ha perso gran parte della sua legittimazione popolare.

Ne parliamo con N.K. (solo le iniziali dato che ha ancora parenti in Iran), artista e poeta, rifugiato politico in Italia dal 1979, quando la rivoluzione detronizzò lo Scià insediando la dittatoriale repubblica islamica. Il Paese che avrebbe potuto allora istituire un regime più democratico sullo stile occidentale è invece passato ad una dittatura peggiore per un errore di valutazione degli oppositori.

“In quel momento avvenne un errore storico – spiega N.K. Gli oppositori di sinistra al regime dello Scià non avevano compreso che quello di Khomeynī, sarebbe stato ancora peggiore e lo hanno appoggiato, pur di liberarsi dall’influenza americana”.

“Il fronte dei riformisti islamici ha fatto perdere del tempo prezioso al paese ma ora i popoli dell’ Iran finalmente hanno la convinzione che il regime sia incorreggibile e perciò puntano direttamente a compiere i passoi necessari per un cambio di regime tanto ostacolato da almeno un secolo, verso una convivenza civile e in armonia col il grande patrimonio storico del paese”.

“L’Iran è stato in arresto cardiaco per 44 anni – prosegue N.K. – e forse ora potrebbe essere il momento giusto per liberare il Paese e istituire un governo più democratico e impedire che nel paese si possano istituire altre dittature. I cittadini sono allo stremo. Ridotti in miseria da un regime corrotto che spende tutti i soldi incassati dalla vendita di petrolio e gas per alimentare nuove guerre di conquista e creare un grande stato islamico sciita a livello mondiale”.

“Il nostro Paese, che è ricchissimo di risorse energetiche, viene depauperato per continuare guerre assurde. Il popolo è in miseria, non ha lavoro e vive nel terrore”. “Gli oppositori non vogliono che gli Usa firmino contratti per il nucleare con i dittatori iraniani perché i soldi ricavati verrebbero impiegati per nuove repressioni e nuove guerre. Intanto i nostri bambini cercano cibo nella spazzatura”.

“La politica della cosiddetta “cintura verde” messa in atto dagli Usa è sbagliata e mira solo a impedire ai russi confinanti di accedere al gas e al petrolio”.

In tempi recenti, le più grosse manifestazioni contro il regime in Iran furono quelle contro la rielezione a presidente di Mahmoud Ahmadinejad, a cui nel 2009 parteciparono centinaia di migliaia di persone e furono le più pericolose per la tenuta del regime. Anche in quel caso, tuttavia, la risposta con la violenza e la repressione ebbe successo, e le proteste furono sedate.

La reazione repressiva del governo iraniano non si è rivolta soltanto nei confronti delle piazze e dei manifestanti. Negli ultimi giorni i Pasdaran hanno bombardato con l’artiglieria il Kurdistan iracheno e quello iraniano provocando morti e feriti. Dure le reazioni di Baghdad, del governo autonomo regionale del Kurdistan iracheno e anche di alcuni stati europei come Spagna e Germania, i quali han convocato gli ambasciatori iraniani per consegnare la propria protesta ufficiale.

Ancora una volta è il grido e il sacrificio delle donne a farsi sentire e a dare input alla politica. E pare che gli islamisti iraniani, ora al potere, temano la disfatta visto che, da voci attendibili, si ha notizia che abbiano già allontanato e messo al sicuro in occidente i loro parenti e i soldi rubati al Paese.

Gabriella Poli

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