Cultura

Ritorno alle nostre lowlands

Gabriella Poli – Corte de’ frati – Tornare nelle terre basse dell’infanzia, un sabato di agosto quando tutto è immobile per la calura che spacca le pietre, mentre le cicale impazzite stordiscono con il loro frinire. L’odore di incenso ti avvolge appena scendi dall’auto parcheggiata vicino alla chiesa. L’occasione è il funerale di zio Luigi, marito di zia Lina, morta l’altr’anno, sorella di papà Renato mancato vent’anni fa, figli di nonna Adele e nonno Simone, cavaliere di Vittorio Veneto, un ragazzo del 99… Mi sto già perdendo nei ricordi. Vedo la parrocchia nel piccolo comune della bassa cremonese. E’ la stessa dove mi portava in bicicletta zia Chiarina, che la nonna aveva avuto in età avanzata, quando andavo da loro in campagna, nella frazione dei Noci di Corte de’ Frati. Le case che circondano la parrocchiale, piccola e modesta, sono sigillate con gli “scuri” perché il caldo resti fuori. Mi guardo attorno in cerca di volti noti. Nemmeno uno. La mamma riconosce Virginio, un amico di papà.

– Buongiorno come sta?

Dialogo tra sordi. Le nipoti traducono.

– Sono Giuliana la moglie di Renato Poli…

– Ah sì, la bellissima bresciana… Ma quanti anni sono passati?

– Quanti anni ha lei?

– Io 94…

– Ma come 94 impossibile…

– E questa bella ragazza è mia figlia Gabriella. E’ una giornalista sa.

– Ha un’edicola?

– No, giornalista non giornalaia…

– Va beh fa lo stesso.

– Come bella ragazza ma quanti anni ha?

Non mi voglio ricordare. Sicuramente troppi. Sono già in pensione.

– E questo è mio nipote Simone, storico dell’arte…

E così via.

Durante un’omelia incomprensibile e rimbombante, di cui perdo subito il filo, inseguo con lo sguardo un uccellino che svolazza tra le navate in cerca di un po’ di fresco. L’effetto soporifero è lo stesso di 50 anni fa. Allora però il latino rendeva tutto più solenne. Dopo innumerevoli levate e sedute dalle panche di legno, scambi di strette di mano in segno di pace, benedizioni, ci si avvia a piedi verso il cimitero che è a poche centinaia di metri. Salutiamo lo zio per l’ultima volta e la Lina col suo bel sorriso, che riposa nella tomba accanto, e cominciamo a cercare i nonni, le zie, le cugine, per “presentarle” a Simone come il papà faceva con me quando ero piccola e mi mostrava i suoi nonni e i suoi amici meno fortunati, morti giovani per malattie o incidenti d’auto. Tutti ci sorridono dalle loro fotografie.

Scivoliamo via con l’auto lungo le stradine tra i fossi e i canali, in mezzo ai campi di mais, che rappresentano sempre un miracolo per quanto possano crescere in pochi giorni fino a oltre due metri.

Attraversiamo le nostre lowlands tra le cascine abbandonate fino al fiume Oglio dove papà Renato, ventenne, compiva imprese straordinarie, attraversandolo a piedi nel punto più basso in fila indiana con mamma Giuliana per mano e me in braccio. Mi chiedevo e mi chiedo ancora a volte perché sfidare i mulinelli insidiosi del fiume. Non c’era un perché. Semplicemente per raggiungere l’altra sponda.

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