Gabriella Poli – In volo per Gozo – Tutto era pronto per la partenza. Beatrice si accinse a prendere l’aereo da Malpensa per Luqa. Il volo sarebbe durato un paio d’ore poi, una corsa in taxi fino all’imbarcadero, dove con il traghetto, avrebbe raggiunto Mgar.
Come sempre quando volava la donna cadeva in un sonno profondo. I sogni si affollavano e cercavano di far affiorare vecchi e recenti avvenimenti. E così Beatrice aveva aperto le porte al suo incubo peggiore iniziando a rivivere in ordine cronologico tutta la storia professionale, d’amore e follia vissuta negli ultimi anni con Brave. Alle suggestioni “musicali” si erano aggiunti in quel periodo anche alcuni cambiamenti in ambito professionale.
Il Partito Nuovo, che era anche il suo principale editore, aveva approfittato di una riduzione del personale per allontanare alcune persone giudicate “scomode” per i motivi più vari, tra le quali Bea.
Oltre che da quel palazzo infernale Beatrice si era allontanata così definitivamente anche da Brave, l’uomo che ormai per lei era il diavolo in carne ed ossa. Quello che le aveva mangiato 15 anni di vita. Che aveva divorato i sentimenti, vomitandole addosso la sua malvagità, l’arrivismo cieco, il suo incommensurabile desiderio di potere. Un’ebbrezza alla quale non rinunciava nemmeno ora che, colpito da una grave malattia, aveva difficoltà di parola e di deambulazione. Anche così, sofferente, sputava veleno e continuava a circondarsi dai suoi simili. Gli bastava un pulpito da cui pontificare e vendeva l’anima e la famiglia e l’amore e gli amici fedeli.
Da sempre Brave, come del resto tutti i leader, si era voluto circondare da una corte truffaldina e ossequiente, falsa e ottusa, malvagia e temibile, che lo tradiva blandendolo ma che gli dava ciò che lui bramava: l’illusione del potere. Un potere pesante esercitato sulle folle con un linguaggio sapiente. Quello che, da grande attore qual era, lo aveva tenuto saldo ai vertici del PN, attirando nelle piazze migliaia di brave persone e nei palazzi centinaia di meschini.
L’ultimo atto di quella superiorità arrogante e malvagia era stato dunque la messa fuori dal mercato del lavoro di Beatrice che era diventata “ingombrante” per le conoscenze su fatti non proprio cristallini accaduti in tutti quegli anni trascorsi all’interno del “Palazzo”.
Beatrice in quell’epilogo, disastroso dal punto di vista professionale, sentiva però in un certo senso sollievo. L’idea di non dover più rivedere quelle facce le risanava la mente. Non era più disponibile a perdere un solo secondo per pensare alle delusioni e alle percosse morali ricevute, agli inganni, agli intrighi degni della peggiore delle corti reali. Quanti ingenui vedeva ancora. Si chiedeva spesso perché la brava gente non capisse quali inganni si celavano dietro un bel discorso, un volto suadente, un’energia formidabile spinta solo da arrivismo e sete di potere. Le persone oneste non lo capivano perché non essendo di quella natura non si avvedevano degli inganni. E, anche quando ne avevano sentore, soffocavano le voci rivelatrici perché la delusione sarebbe stata troppo dura da sopportare. Alcuni avevano bisogno di certezze e di portavoce, di bandiere a cui affidare la soluzione del loro dolore: le risposte a tutte le domande che ci si pone nel corso dell’esistenza come il perché di sofferenza, indigenza, ma soprattutto di ingiustizia.
Ed è proprio sul concetto di giustizia che l’uomo gioca il più grande di tutti gli inganni. Dire che la giustizia non esiste non è retorica, è realtà. Quando te ne rendi conto, tendi a non accettare l’ipotesi che la bilancia pesi sempre dalla parte del male, peggio, che il bene e il male siano alla fine sullo stesso piano. Un concetto ampio, più ampio della comprensione. Quella umana. Perché gli animali lo sanno molto bene e non si pongono il problema, vivono accettando gli eventi. Vivono comunicando con sguardi e gesti.
Ma il linguaggio, peste di tutte le arti, è proprio degli umani. Ecco cosa avevano detto alla sensitiva Bea a proposito del linguaggio, i suoi maestri invisibili che spesso, quando era al computer, le guidavano le dita sulla tastiera: «Molti anni fa l’uomo pensò che riconoscere un proprio linguaggio fosse la cosa più importante del mondo. Comunicare attraverso le parole era una faccenda cruciale per ogni rapporto umano e dunque iniziò a cercare un linguaggio comune. La lingua divenne il maggior mezzo di comunicazione tra gli uomini. Poche parole servivano per esprimere universi di emozioni e divennero potenti armi di comprensione delle persone anche lontane tra loro. Ogni cosa venne programmata per essere inquadrata in questo contesto di parole. Ogni gesto e ogni libero pensiero fu costretto a passare attraverso il linguaggio. L’uomo credette di aver fatto una conquista mentre invece si era ingabbiato con le sue mani. Politici scaltri si appropriarono del potere del linguaggio e avvenne ciò che è avvenuto: l’inganno passò attraverso le leggi della comunicazione e il più potente mezzo di trasporto del mondo, il pensiero, fu traslato da una persona alle masse. E ancora tremende idee furono propagate in un lampo in tutto il mondo. Credenze malvagie, situazioni incresciose, dimenticanze in ogni dove originarono un difetto. Il linguaggio del mondo venne deviato attraverso le parole in un linguaggio malvagio e interessato. Anche se poetiche sembrano alcune parole, altre semplificano sentimenti e originano equivoci che universalmente sono limiti colpevoli di ogni nefandezza». Il linguaggio dei maestri invisibili, era arcaico. Bea lo sentiva risuonare nella mente di tanto in tanto. Più che altro erano messaggi premonitori di accadimenti futuri, che si erano puntualmente presentati dopo un periodo di tempo. Nelle predizioni c’era però uno spazio temporale che non riusciva a mettere a fuoco. I tempi delle rivelazioni e quelli della realtà non coincidevano.
Lei infatti non percepiva il “quando” e, a volte, dopo un certo periodo di tempo, si scordava delle predizioni ricevute e se ne ricordava soltanto al momento dell’accadimento dei fatti. Questa difficoltà a definire il tempo delle preveggenze era disperante e a volte Bea dubitava delle rivelazioni credendole frutto della sua fantasia, per poi ricredersi puntualmente quando gli eventi accadevano. Alcuni fatti dolorosi l’avevano riguardata personalmente e aveva così potuto toccare con mano che le rivelazioni erano puntuali e dettate da intelligenze eteree che la guidavano verso un percorso di cui ignorava ancora la meta. La sua “avventura” esoterica era iniziata anni prima quando in un periodo di stress e solitudine si era manifestata una estrema sensibilità. Aveva l’impressione di sentire i pensieri delle persone che incontrava e di conoscerne già lo scopo e le azioni che avrebbero compiuto di lì a poco. La cosa la disturbava moltissimo poiché di solito si muovevano verso di lei solo animate da spirito di convenienza, di sopraffazione, di inganno. Anche quando qualche uomo le esprimeva la sua ammirazione ormai non credeva più a sentimenti dettati dal cuore ma semplicemente ad una ricerca di corrispettivi carrieristici. Molti volevano entrare nella sua cerchia di conoscenze professionali e politiche per sfruttare la sua onesta credibilità e poi farsi i fatti loro. Una volta ottenuto il contatto ambito la isolavano come una stolta che non aveva compreso le leggi che regolano la società, una ingenua, addirittura una pericolosa integralista che non scendeva a compromessi con nessuno.
Ma ad un certo punto si era voluta fidare di un uomo che la corteggiava, anche per sfuggire a Brave. E puntualmente arrivò il colpo di grazia da parte di un giovane appartenente ad una ricca casata milanese, Ludovico Maria, di cui si era innamorata attratta dalla sua apparente “purezza” d’intenti. In quella occasione non aveva voluto ascoltare le “voci” che sentiva nel suo profondo e che cercavano di avvisarla dell’inganno. Si era buttata a capofitto nella storia uscendone dopo qualche tempo completamente distrutta. Il bel tenebroso, era in sostanza un insoddisfatto preda di alcune malevole sette che lo controllavano per carpirgli il suo patrimonio. Mirava solo a conoscere il mondo dello spettacolo e della televisione, nel quale Bea lavorava in quel periodo, per uno smisurato narcisismo che lo divorava. Era come un demone potente, bellissimo e irresistibile, che l’aveva risucchiata nel suo vortice di follia distruttiva annullando in lei l’autostima e la forza di volontà. Bea ad un certo punto aveva pensato che Ludovico Maria fosse stato inviato apposta per metterla alla prova e dissuaderla dai suoi intenti di scoprire la strada per lei tracciata.
Alla fine aveva trovato la forza di troncare la relazione, anche se non aveva mai sentito, fino ad allora, una tale attrazione per un uomo. Questa delusione cocente si era sommata a quella ricevuta da Brave e Bea aveva risalito la china, con molta difficoltà, solo dopo parecchi anni. Ma non aveva perso la sua sensitività, anzi. Soltanto non parlava più con nessuno delle rivelazioni che riceveva e attendeva con pazienza di incontrare altre persone, come lei animate solo da una spiritualità forte e onesta e, come lei, facenti parte di una sfera profonda che mirava al comune scopo di migliorare l’umanità. Un compito in un certo senso presuntuoso che avrebbe condiviso volentieri con un compagno di cuore e spirito. Anche se i suoi maestri continuavano a predirle che questo incontro sarebbe avvenuto sicuramente molto presto, il “prescelto” non si era ancora palesato sul suo cammino. Nemmeno Lawrence, che pure la donna amava molto, sembrava essere la persona giusta dato che dosava la sua presenza con molta parsimonia mettendo Bea in secondo piano rispetto agli altri suoi impegni famigliari e professionali. La situazione si era improvvisamente sbloccata almeno dal punto di vista ambientale con la “musica” che Bea aveva iniziato ad udire e che l’aveva spinta a partire per l’arcipelago maltese.
(continua la sinfonia 10)
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